Il Processo di Franz Kafka capitolo IX Nel duomo

Ho iniziato a leggere questo celebre capolavoro della letteratura contemporanea perchè il mio amico scrittore ha fatto una recensione proprio a questa edizione de Il processo di Franz Kafka tradotto da Primo Levi.

La recensione di Paolo Fiore è talmente bella e completa che non cercherò di riassumerla a parole mie bensì consiglio vivamente la sua lettura integrale sul sito zonadidisagio.it blog di cultura di Nicola Vacca, da me riproposta nell’articolo Il Processo di Kafka tradotto da Primo Levi. Il commento di Paolo Fiore

Grazie a Fiore e alla sua analisi sull’opera e sul traduttore il quadro del processo è pronto, pronto alla lettura completa e individuale del grande romanzo di Kafka.

Primo Levi l’ha tradotto magistralmente, sentendosi nell’assurdità del processo Lui che ha vissuto in prima persona l’assurdità del male.

Paolo Fiore l’ha riletto, reilaborato cominciando dalla storia personale del traduttore e riflettendo sulla ermeneutica delle parole. Argomento, quest’ultimo, molto a cuore a Paolo e oggetto di suoi studi da anni.

Ora il lettore deve leggere Frank Kafka.

Io l’ho fatto sulla riva del mare il pomeriggio (giuro che non volevo rievocare con quest’immagine il titolo di un famosissimo giallo giapponese, che neanche a farlo a posta risponde esattamente alla mia descrizione Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami – bellissimo peraltro) si dicevo l’ho letto sulla spiaggia e nell’ultima parte parte soprattutto, cioè, precisamente il capitolo IX Nel duomo, mi ha fatto pensare al Grande Inquisitore di Dostoevskij, per il linguaggio allegorico e profetico del lungo dialogo del personaggio con il protagonista . Atmosfere solenni, facce mistiche, parole semplicissime – ma non chiare – e potentissime.

Una storiella, mi riferisco in questo caso al capitolo Nel duomo nel processo di Kafka, che più che una favola è una sentenza, che più di un comandamento è un monito. Un giudizio ed una assoluzione insieme e viversa, o condanna potremmo ben dire leggendo il seguito. Il sacerdote interpreta, dimostra e ordina è la Legge. Ordinare nel senso non solo di comandare ma disporre con metodo.

edizione Corriere della Sera 9772039568288

Josef si rattista, verbo eccezionale per tramettere l’angoscia. “La menzogna diventa l’ordinatrice dell’universo” pagina 242.

Intendere e fraintendere contemporaneamente. Geniale!

Non aggiungo altro, Kafka ha spiegato tutto in quel capitolo.

Tornerò su Dostoevskij in seguito, in altri articoli, queste sono soltanto suggestioni.

Mentre un’altra cosa che mi è venuta in mente leggendo è stato il cd musicale Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè. In quella che mi piace definire una storia messa in musica infatti l’album è un vero e proprio romanzo da leggere tuttoquanto, oltre che, da ascoltare, De Andrè si interroga come Josef K. delle dinamiche del potere, degli inganni e maschere del potere. Il potere ossessiona l’impiegato di De Andrè, il potere perseguita invisibile l’impiegato di Kafka. Personaggi da ballo in maschera accompagnano e accomunano i due impiegati altrimenti lontani 70 anni piu o meno, e pure, la Legge si presenta menzoniera ad entrambi e ancora di più: è il guardiano il vero anello che congiunge l’interpretazione del potere svolta da Kafka e De Andrè, il guardiano è l’esecutore della Legge, è l’esecutore borghese. Colpevole o tradito?

Il guardiano esegue irragionevolmente e forse l’uomo è come Sisifo – a proposito di Sisifo Non possiamo cavalcare il macigno di Sisifo che rotola dalla montagna ! di Fiore – che nella accettazione consapevole della propria condanna sfida il suo carceriere e obbedendo vince.

Mi riferisco sempre allo stesso capitolo IX, ancora al paragone con l’impiegato di De André. Ripeto che i miei sono soltanto accenni e magari troveranno conferma in altri lettori.

Nel capitolo successivo e ultimo dell’opera, mi sembra che la storia cambi e che ahimè avvenga una cosa atroce, la maledizione dell’uomo moderno che non accetta alla Sisifo la sfida magari vincendola bensì si abbandona al proprio male e l’anticipa. L’anticipazione del male, la ricerca della pena, l’andare verso la propria fine con indifferenza e un misto di desiderio sono elementi  spaventosi.

Josef K. si rattrista e condivide la sua paura almeno con il sacerdote; alla fine invece Josef K. vede un uomo alla finestra lontana, ha mille domande concrete da fargli ma non ci riuscirà: è solo. La solitudine, l’atrocità e lo scoforto non più filtrati dall’allegoria della storiella come era accaduto nel capitolo precedente, lasciano il lettore disperatamente solo.

Il finale di De Andrè sarà piu allegro perchè l’impiegato temedo di finire da solo come e peggio di Josef si attacca a quelle ultime domande di Kafka quelle rimaste in gola a Josef (sto immaginado io questo, Kafka non è citato testualmente nel testo delle canzoni) e le grida. Gridandole altri le condividono, anche quelli sulle finestre lontane, il suo dissenzo deventa collettivo. Da singolare a plurale, da privato a condiviso, da solo a “noi” l’impiegato alla fine ci riesce.

A questo punto ho pensato a Paolo Fiore che con il suo articolo ci ha consigliato questa rilettura di Franz Kafka nella traduzione di Primo Levi ed ho pensato a Primo Levi e a quanto dovrà essere stata difficile e dolorosa la traduzione dell’opera e soprattutto delle ultime pagine e delle domande, le domande che restano in gola a Josef K. le quali saranno risuonate a Levi come altre percosse di una malvagità, ottusità e inutilità del male ancora tangibili sulla sua pelle.

Chiude questa edizione del primo numero collana Scrittori tradotti da Scrittori edita a maggio 2019 dal Corriere della Sera 9772039568288 la Nota del traduttore.

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